Potrei dire che cercando con lo sguardo la linea di confine non riesco a scorgerla, perché è una linea immaginaria. Ma sarebbe retorica.
È vero però che la maggior parte dei confini scorre lungo catene montuose, fiumi o coste, ovvero aree più difficili da attraversare e più facili da difendere.
I confini nascono dalla conflittualità e il progresso va in direzione opposta, quella di una conflittualità sempre minore e una collaborazione sempre maggiore.
Eravamo divisi in tribù costantemente in guerra tra loro: guerre per conquistare risorse degli altri e guerre preventive, prima che l’altro diventasse più forte di noi e potesse attaccarci.
Poi abbiamo inventato l’agricoltura e abbiamo iniziato a conoscere un’abbondanza allora sconosciuta: con poca fatica in più potevamo produrre più cibo di quello che serviva. Così quelli che prima erano avversari hanno iniziato a diventare risorse: ti dò il grano che coltivo nella pianura e mi dai il sale che raccogli sulla costa.
Abbiamo inventato il commercio, un passo di civiltà enorme: un gioco a somma positiva in cui entrambi ci guadagnano. Quelli che prima erano solo una minaccia sono diventati anche un’opportunità .
Nei tempo i confini sono stati attraversati sempre più spesso e sempre più facilmente, dazi e limitazioni alla circolazione sono progressivamente diminuiti e anche i confini stessi hanno iniziato a diminuire: regni che si univano in stati, stati che si confederavano in unioni di stati. Unioni sempre più grandi tendenti a riempire interi continenti.
Oggi il confine di stato è spesso solo un cartello in una lingua diversa lungo l’autostrada, che non rallenti neanche. Poter viaggiare per migliaia di km senza una dogana e senza un passaporto è una conquista molto molto recente. Una conquista della mia generazione.
Questo qui è il progresso che ci ha portato dalle guerre tribali alla stazione spaziale Internazionale e questo è quello che mi passa per la testa in attesa dell’atterraggio nel paese della brexit.