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I limiti della certificazione per parapendio

La FIVL ha avviato una collaborazione con Bruce Goldsmith, tradurrò i suoi articoli che saranno poi pubblicati su Volo Libero. Si parte tra due numeri.

Il primo articolo è già  in redazione e riguarda un aspetto particolare del “fattore umano”: il blocco mentale indotto dalla paura. Il fattore umano è un argomento molto vasto ma estremamente importante visto che la quasi totalità  degli incidenti sono in qualche modo legati a lui. Non ne parlerò ora ma ne parleremo molto quest’anno su Volo Libero e nei corsi di aggiornamento piloti.

Il secondo articolo, che sto ancora traducendo, riguarda i protocolli di certificazione delle ali da parapendio.

E’ un articolo che esprime delle critiche e ridimensiona il ruolo della certificazione. Può sembrare contraddittorio che sia io a tradurlo e pubblicarlo visto che sostengo e promuovo questo importante strumento di sicurezza. Il fatto è che le critiche sono condivisibili e, pur ritenendo che la certificazione sia estremamente importante, sono anche convinto che sia indispensabile avviare immediatamente (anzi, siamo già  in ritardo) il processo di revisione e aggiornamento della attuale norma EN 926-2, sia per colmare le sue attuali lacune che per mantenerla al passo con i progressi tecnici. L’ho scritto e detto più volte anche in sede EHPU: se non faremo questo passo la norma fallirà . Chi deve fare questo passo? Tutti i soggetti coinvolti: i piloti per il tramite della EHPU (la “federazione delle federazioni europee”), i produttori, i laboratori di test.

Le critiche di Bruce riguardano principalmente due aspetti molto importanti per la sicurezza che però non vengono misurati dai protocolli attuali a causa del fatto che è molto difficile elaborare dei test ripetibili.

Il primo aspetto è la resistenza alle chiusure. Misuriamo in modo accurato le reazioni a chiusure di ogni tipo ed entità  ma non valutiamo quanto facilmente una vela chiuda. In generale la reazione della vela alla turbolenza non viene valutata.

L’altro aspetto, a mio parere molto più importante, è la reazione alle configurazioni inusuali quando il pilota agisce sui comandi. Tutti i test vengono eseguiti, per essere ripetibili e confrontabili, senza alcun intervento del pilota. Sappiamo però che difficilmente il pilota non farà  nulla, purtroppo quello che succede se il pilota non si limita a sollevare i comandi ed essere passivo non viene misurato. Il risultato è che abbiamo vele che hanno dei comportamenti molto sani senza alcun intervento del pilota ma basta una trazione di pochi centimetri per impedirgli di uscire da determinate configurazioni.

La certificazione allora è inutile? Assolutamente no, ma è bene sapere cosa ci dice e cosa non ci dice.

Mi fermo qui. Tutto il resto lo trovate su Volo Libero che, ricordo, è ormai l’unica rivista di volo libero in Italia. La rivista è sempre più ricca e i contenuti sono di qualità  sempre crescente, vale da sola l’iscrizione alla FIVL.

1 commento su “I limiti della certificazione per parapendio”

  1. Non posso che ringraziarti per l’impegno che ci metti Rudi, nel cercare di mantenere utile il tuo ruolo all’interno della comunità  volatile.
    Speriamo che, per quanto piccola e con poche risorse, la voce di Volo Libero non si spenga mai.
    La questione sollevata da Goldsmith è importante: secondo me è assolutamente da affrontare per le classi LTF 1 ed 1-2 (EN A e B)
    Già  nel passato si sono verificate situazioni di profili alari di vele “sicure” che avevano comportamenti “ingestibili” dal pilota al di fuori dell’assetto normale.
    Ora si tratta di mantenere un ampio margine di sicurezza nella continua corsa alle prestazioni. L’altro problema è secondo me la eccessiva ampiezza del range di omologazione: di fatto ali volate al limite inferore non hanno caratteristiche sufficienti ad “incassare” gli errori di pilotaggio.
    Salutoni

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